Galleria "Happening"(Torre Annunziata)
Per poter gustare completamente la pittura di Gennaro Corbi non bisogna cedere alla tentazione di descriverne l'apparente valore esoterico. Occorre,invece respingere ogni smania interpretativa e volgersi soltanto alla forma, al colore, ai rapporti tonali, all'equilibrio delle composizioni.
La ricerca di un qualsivoglia messaggio -tra l'altro diverso, secondo il grado di sensibilità, di cultura, di preparazione specifica dei vari fruitori – è un fatto estrinseco alla arte.
La pittura moderna si sente, non si comprende: deve essere ricevuta da canali che non confluiscono nella sfera della ragione.
Gennaro Corbi durante l'atto creativo “ attinge al mondo dei sogni come a un mondo più stabile di quello reale da lui a un certo punto ritenuto effimero e rifiutato”. Libera i fantasmi interiori con l' efficacia del poeta o del musico: raggiunge risultati che non indulgono mai a vuoti intellettualismi.
Ecco il senso più genuino della sua arte: il capovolgimento, cioè, dei valori che nella vita di ogni giorno risultano troppo definiti e rigidi e squadrati.
Perfino ostili,diremmo.
E una sorta di ambiguità istintiva – tale la definisce una persona molto vicina e cara all'artista – un'ansia di esprimere l'indeterminato in tutte le sfaccettature, un risvolto contrapposto, forse, alle leggi dell'esattezza, della precisione, che il Corbi nella sua qualità d'ingegnere è tenuto ad osservare di continuo.
Una ribellione, comunque.
E come in ogni ribellione c'è un fondo di rappresa amarezza, che si scioglie attraverso una poetica dolorosa, ma insieme liberatrice.
Le tele del Corbi irradiano suggestivi misteri. Qualche tenebrosità alla fiamminga negli ambienti rappresentati. Motivi ricorrenti di scale – sghembe, asimmetriche, tese irrimediabilmente verso l'inutilità perché prive di approdi. Cumuli vagamente ossessivi di oggetti e tristissime pensosità di personaggi intravisti tra brume e strutture oniriche. Nudi femminili inutili. Volti tagliati netti, che sembrano spiare nel quadro lasciando il corpo, invisibile, fuori della cornice. E il segno ripetuto di un albero secco a forma di Y, scevro però di qualsiasi simbolismo:inconscio contrassegno di ataviche memorie tramandate per il tramite di geni e di cromosomi.
Se ci è lecito un accostamento con la letteratura diremo che in presenza delle opere del Corbi abbiamo intensamente pensato al mondo interiore di un Kafka. E l'impressione si accentua di fronte agli sconcertanti panneggiamenti – rigidi, scolpiti più che raffigurati sul piano – e agli oggetti che seguono l'andamento dei cristalli: lievissime concessioni a un cubismo dell'anima, più che della tecnica.
Da parte sua l'artista afferma di prediligere le opere di Chagall, di Klimt, e l'amore intenso e puntuale verso siffatti maestri, si ritrova nei suoi quadri, per rapidissimi lampeggiamenti. Non nella grammatica dei suo quadri, s'intende, ben nel senso integrale del loro contesto.
In definitiva, la pittura di Gennaro Corbi riecheggia i sotterranei palpiti di un corale rito magico d'altri tempi, recuperato da antichissimi residui ancora attivi e fecondi nelle pieghe del la sua coscienza di artista.
Un canto ancestrale, spremuto da tubetti di colore, spalmato con sapienza e sensibilità al tocco dei pennelli, affinato al punto di sollecitare la commozione degli osservatori informati